środa, 7 października 2015

Salò o le 120 giornate di Sodoma

Nel film il "potere" prende le distanze dall'umanità, trasformandola in oggetto e il sesso ha un ruolo fondamentale, un "ruolo metaforico orribile", come dirà lo stesso Pasolini. Secondo Pasolini "il sesso in questo film, sia pure in modo onirico e stravolto, diventa la metafora di ciò che oggi il potere fa dei corpi", descrive la "mercificazione dei corpi da parte del potere" rifacendosi al pensiero di Marx. È soprattutto metafora dell'essenza più intima del potere che per Pasolini è fatta di brutalità, violenza, sopraffazione, viltà e totale certezza dell'impunità. Facendo convergere l'intuizione di Sade sull'attuazione del potere attraverso il controllo del sesso, e l'analisi marxista, Pasolini disvela la correlazione fra la dominazione di classe e la sopraffazione sessuale. Constatando ferocemente e lucidamente la malafede di qualsiasi interpretazione tranquillizzante dello specifico caso italiano e della violenza massificante che il regista vi scorge. Un cambiamento epocale che per Pasolini trasforma anche il sesso, fino ad allora da considerare una risorsa giocosa e liberatrice delle classi subalterne, in un orribile obbligo di massa, imposto da una forza invisibile, a cui tutti si adeguano.

L'altra metafora oscena del film è quella scatologica: direttamente ripresa da Dante, è un'allegoria dell'ansia di uguaglianza nella degradazione consumistica, e simbolo della perversione capitalistica.

La rigorosa collocazione registica dei personaggi nell'inquadratura e la perfezione formale della fotografia negli interni e nei costumi, contrasta, volutamente e in modo netto, con il tema trattato.

Tra i riferimenti stilistici del film va rilevato quello brechtiano per l'utilizzo della tecnica dello straniamento teorizzata appunto da Bertolt Brecht, qui operante attraverso lo stridente e abissale contrasto, volutamente insostenibile, tra l'oscenità del soggetto rappresentato e l'estremo rigore formale ed estetico.

È l'ultimo film di Pasolini che negli ultimi mesi della sua vita, terminata col suo omicidio, sentiva crescere intorno a sé un sentimento di ostilità. In quel periodo Pasolini denunciava lo sfacelo "culturale e antropologico" dell'Italia e delle classi popolari italiane ad opera della spietatezza livellatrice delle classi dominanti: intuizioni che furono meglio recepite solo molti anni dopo la sua morte, a partire dalla fine degli anni '80 e da numerosi critici e intellettuali considerate potenti e profetiche. Anche in relazione alle sue prese di posizione politiche e intellettuali sulla situazione italiana, le stragi e i misteri di Stato, Pasolini probabilmente temeva per la sua vita. Forse messa in conto la possibilità della sua morte, continuò nella sua indagine come per una sfida finale nei confronti del mondo, convinto più che mai di gettarsi contro l'indifferenza degli italiani e l'assuefazione inculcata dal potere.

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